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redazione@insideoutrend.itUn appartamento scenografico nel cuore di Milano diventa il primo showroom virtuale per raccontare il design in modo inedito, social e alla portata di tutti.
Un movimento di rottura, provocatorio, votato all’eccesso e alla sperimentazione giocosa di volumi e cromie, animato da effetti cangianti e luccicanti.
Ancora oggi sono molti gli aspetti di moda e design che riprendono quell'attitudine all'emancipazione e al culto della trasformazione - cifra stilistica degli Anni Settanta.
Con le sue atmosfere suggestive e ricche di contrasti, Tropical Chic è uno stile eclettico, che delinea accostamenti audaci, tra forme minimal e colori brillanti.
Ogni due anni, il richiamo della bellezza di Venezia diventa irresistibile per architetti e appassionati della disciplina. Anche noi di InsideOut non potevamo lasciarci scappare una visita alla Biennale Architettura 2023, la 18. Mostra Internazionale di Architettura di Venezia, dal titolo "The Laboratory of the Future", curata dall'architetta, docente di architettura e scrittrice scozzese di origini ghanesi Lesley Lokko.
Appena si entra, appare subito evidente l’elemento laboratoriale della mostra, che pone l’accento non tanto sull’opera architettonica in sé, sul prodotto finito o sul risultato formale, bensì sull’approccio operoso, artigianale, su ciò che il processo dell’architettura genera o ambisce a generare nella vita delle persone.
Così lo spazio espositivo diventa un luogo dove è possibile immaginare, sperimentare, e che stimola il ruolo attivo del visitatore, chiamato a contribuire al ragionamento e all’interpretazione di possibili soluzioni di un futuro migliore.
Un futuro possibile solo attraverso una riconciliazione tra ambiente e uomo. Tema centrale della Biennale 2023 è senza dubbio il cambiamento climatico e la neutralità carbonica come motore per promuovere un modello più sostenibile per la progettazione, l’allestimento e lo svolgimento di tutte le sue attività. La mostra fa luce sul saccheggio del nostro pianeta e sulle conseguenze catastrofiche che ci minacciano, mostrandone le spietate e terrificanti implicazioni politiche, sociali ed economiche.
L’esposizione punta i riflettori sull’Africa e sulla diaspora degli architetti di origine africana che lavorano nel mondo. Tra i practicioner, i Guests from the Future selezionati dalla curatrice – molti dei quali giovanissimi –, quasi la metà è rappresentata da studi a conduzione individuale o composti da un massimo di cinque persone. Realtà emergenti che, in questo contesto, trovano un inedito spazio di espressione.
Partendo dal continente africano, da sempre grande fonte di energia per l’Occidente in termini di beni, terre e persone, i temi postcoloniali investono la riflessione architettonica, operando un cambio di paradigma: si scardinano l’autorità eurocentrica e il dominio di una storia unica, predominante, per lasciare spazio a una trama di narrazioni da trasformare in forme e volumi. La voce dei professionisti si fa plurale e risuona come quella di un collettivo che collabora, apprende, si esprime in risposta ai problemi del proprio tempo per proporre idee che aiutino a immaginare “un futuro in comune più equo e ottimistico”.
Gli strumenti espressivi a cui ricorrono spesso esulano dalla forma architettonica, che risulta appena accennata. Prendendo in prestito il formato delle mostre d’arte, lo spazio acquista potere narrativo, diventa così un incubatore del dibattito, un coacervo di prospettive dove il coinvolgimento corale assume un ruolo centrale. Le installazioni artistiche – tra proiezioni, fotografie, suoni, giochi di scritte e luci – allargano il pensiero architettonico che scavalca i confini della disciplina per tradursi in un appello a costruire società, conoscenza, fiducia, speranza, futuro.
Così ci ritroviamo a chiederci, siamo di fronte a una disintegrazione dell’architettura o piuttosto lo sconfinamento in altri linguaggi non fa che potenziare l’esperienza di immedesimazione, di riflessione, di denuncia, di partecipazione?
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